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Quali prove sulla Macchina di Majorana-Pellizza? |
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La Commissione |
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1) La tua
ricerca sulla vicenda della “Macchina” è partita da un incontro
con Pelizza oppure dalla fisica di Ettore Majorana?
Né
l’uno né l’altro. Il mio interesse per questa storia è nato nel
gennaio 2009 quando un imprenditore, a me sconosciuto, è venuto a
trovarmi per consegnarmi un dossier riservato su una strana
Fondazione religiosa con sede a Vaduz, nel Liechtenstein. In questo
dossier si parlava di una mirabolante tecnologia che la Fondazione
cercava di commercializzare nel mondo. Incuriosito, ho cominciato ad
indagare e ho scoperto che questa Fondazione, che era rimasta in
attività per sei anni e due mesi, non esisteva più da dieci anni.
Inoltre, la tecnologia di cui si parlava non apparteneva alla
Fondazione, bensì ad un uomo che io non avevo mai sentito nominare:
Rolando Pelizza. Lo incontrai solo un anno dopo e così mi feci
raccontare come erano andate le cose. Non sono mai riuscito a sapere
chi avesse mandato quell’imprenditore da me. Solo in un secondo
tempo Pelizza mi ha rivelato che l’autore di quella tecnologia era
Ettore Majorana. 2) Puoi
descrivere i punti principali della tua indagine?
Come
sempre nelle mie indagini, ho solo cercato di appurare la verità
delle cose. In un primo tempo, ho ricostruito la storia di Pelizza.
La sua biografia venne pubblicata nel 2013, per cui in quel momento
non c’era nulla in giro. Cercai quindi di trovare tutta la
documentazione probante sulla sua storia, soprattutto i rapporti tra
la sua persona e i tre governi che si erano interessati alla vicenda:
italiano, americano e belga. Giunsi alla conclusione che la famosa
macchina era esistita ed era stata esaminata da diversi
rappresentanti di quei governi. Ma Pelizza non me la mostrò mai e
cercò, anzi, di nascondermi diversi dettagli. Di fatto, non si
fidava di me. Per cui, nella mia inchiesta, mi sono avvalso anche di
diverse altre fonti. Più andavo avanti e più mi rendevo conto che,
qualora la macchina ci fosse ancora nel presente, sarebbe stata
nascosta. Troppo pericolosa! Cercai anche di coinvolgere alcune
università in questa storia, affinché quella tecnologia potesse
essere studiata a livello scientifico. Anche perché non aveva senso
parlare della “macchina” se non ci fosse stato un riscontro
scientifico. Ma fu tutto inutile. Non mi risulta che quella macchina
sia mai entrata in un laboratorio accademico. 3) Quali
sono a tuo avviso le prove e i miti sulla macchina Majorana-Pelizza?
Abbiamo
documenti, video e testimonianze che confermano la presenza di quella
macchina negli anni Settanta. Altre prove ci confermano la presenza
della stessa macchina nel 1992. Ma non disponiamo di alcun elemento
probante per quanto riguarda il presente. Tra l’altro nel 2019
Pelizza ha pubblicato una lettera aperta ai lettori nella quale
sostiene che non ha più la macchina e che gli viene impedito di
continuare i suoi esperimenti. Questo mi sembra che sia un de
profundis per l’attività di Pelizza. E anche un modo per
uscire ingloriosamente da questa vicenda. Se prima l’interesse del
pubblico teneva viva la storia, adesso nella gente si denota una
certa e marcata delusione. In pratica, questo incredibile racconto,
corroborato da una valida documentazione per quanto riguarda il
passato, rischia di diventare una controversa leggenda in tempi
moderni. 4) La tua
opinione sul “ringiovanimento” di Majorana?
Secondo
la versione di Pelizza, e alcuni documenti in nostro possesso, la
famosa macchina sarebbe in grado di operare quattro fasi sulla
materia: annichilimento, riscaldamento, trasmutazione e traslazione
da una dimensione all’altra. Quest’ultima fase sarebbe quella che
permetterebbe il ringiovanimento. Non una sola di queste operazioni è
mai stata testata a livello scientifico. E se non c’è una conferma
scientifica, non si può affermare ad alcun livello che tali fasi
rientrino nella sfera del possibile. A onor del vero, c’è da dire
che, se mai esistesse una simile macchina, non potrebbe davvero
essere resa pubblica. Le conseguenze sarebbero inimmaginabili. Per
cui, stando così le cose, non posso neppure prendere in
considerazione un eventuale ringiovanimento di Majorana. 5) Negli
anni Trenta iniziavano a circolare le prime teorie quantistiche e la
storia ricorda Enrico Fermi come l’unico fisico che a quel tempo
si interessava alla fissione dell’Atomo. Come si inserisce Ettore
Majorana nel contesto di quel tempo?
Questa
è una domanda che dovrebbe essere rivolta al professor Erasmo
Recami, il biografo ufficiale di Ettore Majorana. Recami ha scritto
un ottimo libro sulla storia ufficiale di Majorana, dalla sua nascita
alla scomparsa nel 1938. Tutto quello che posso dire, per aver
studiato la vita di questo scienziato, è che non è proprio vero che
negli anni Trenta Enrico Fermi fosse l’unico a interessarsi alla
fissione dell’Atomo. Caso mai fu il primo a dimostrare che si
potesse fare e il 10 dicembre 1938, a poco più di otto mesi dalla
scomparsa di Ettore, ricevette il Premio Nobel. Il punto centrale di
questo discorso è che a quel tempo in molti stavano studiando le
leggi della materia, con approcci diversi. Il conflitto scientifico
tra Fermi e Majorana (i due erano buoni amici) consisteva nel fatto
che quest’ultimo accusava Fermi e gli altri colleghi di via
Panisperna di violentare la natura. Secondo lui, c’era un’altra
via per studiare e scoprire le vere leggi della materia. Ed è assai
probabile che alla fine lo stesso Majorana le scoprì e, rendendosi
conto delle conseguenze che poteva avere la sua scoperta, decise di
scomparire per non comunicarle a nessuno. Del resto, se si pensa alle
famose quattro fasi della macchina, ci si rende conto che, se fossero
vere, si potrebbero ottenere risultati incredibili e le conseguenze
dell’energia nucleare potrebbero essere evitate. A questo
proposito, c’è da dire che quella macchina potrebbe essere
ipoteticamente funzionante solo se si considerasse che tanta energia
potrebbe essere sviluppata soltanto se all’interno di quel
meccanismo si sviluppasse il monopolo magnetico. Un concetto, questo,
del tutto assurdo per la fisica che noi conosciamo. Ma ho scoperto, e
gli studiosi italiani ignoravano questo dettaglio, che negli anni
Trenta Ettore Majorana stava studiando proprio il monopolo magnetico.
Tanto è vero che negli anni Sessanta l’Accademia delle Scienze
dell’Unione Sovietica organizzò a Kiev un convegno proprio sul
monopolo di Majorana. C’è da domandarsi come mai in Italia nessuno
ne fosse al corrente. |
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6) Può
l’esistenza della macchina di Majorana-Pelizza influire su grande
scala (massa di persone, eventi atmosferici, campi elettromagnetici)
o è calibrata su scale minori?
Ripeto:
non abbiamo alcuna verifica scientifica sull’esistenza di questa
macchina. Sappiamo solo che c’è stata ed era in grado di fare
alcune cose oggettivamente impensabili. Abbiamo anche alcune prove di
questa attività passata. Ma nulla che riguardi il presente.
Certamente, se ci fosse, sarebbe in grado di intervenire su uomini e
cose in modo realmente straordinario. Ma non sarebbe saggio farla
conoscere al grande pubblico per le inevitabili conseguenze. 7) Hai
iniziato la tua carriera giornalistica negli “Anni di Piombo”,
poi sei passato a Economia e Finanza. Se dovessi scegliere due delle
inchieste più importanti nei rispettivi settori, quali sarebbero?
Quando
studiavo giornalismo negli Stati Uniti, una delle prime cose che mi
hanno insegnato è che la notizia è come una donna incinta: o lo è
o non lo è. Non ci sono mezze misure. Ebbene, se lo è, allora la
notizia va data e pubblicata. Ho sempre tenuto presente questo
concetto, per cui non mi sono mai preoccupato di quale tipo di
notizia mi stavo occupando in quel momento. Se era notizia, tanto
bastava. A prescindere dal settore cui apparteneva. Nella mia vita
professionale mi sono occupato di tante cose, non ricordo nemmeno più
quante. Se dovessi fare mente locale, direi che sono due le storie
che mi hanno coinvolto di più emotivamente. La prima è stata nel
1982, quando, parlando per telefono con un lettore che era appena
tornato in Italia da Londra, mi disse che la sera prima aveva
assistito al programma televisivo Panorama della BBC sul disastro di
Ustica. Ebbene, i giornalisti britannici avevano iniziato le loro
ricerche sull’aereo Itavia precipitato nel Mediterraneo con 81
persone a bordo, già nel 1980. A pochi giorni dall’incidente. E
adesso, due anni dopo, erano stati in grado di raccontare al loro
pubblico che il jet di linea italiano era stato senza alcun dubbio
buttato giù da un missile aria-aria lanciato da un caccia militare.
Nel 1982 in Italia si facevano mille ipotesi, non vi erano certezze
e, di fatto, le autorità si guardavano bene dal giungere a qualunque
conclusione. Io ringraziai il lettore, chiamai per telefono un mio
collega inglese che lavorava alla BBC, mi feci inviare il materiale e
scrissi uno degli articoli più documentati e “esplosivi” (è il
caso di dirlo…) della mia carriera. Venerdì 27 agosto 1982 Il
Giornale uscì con il mio articolo intitolato “Il DC-9 Italia
esploso nell’80 ad Ustica fu colpito dal razzo di un jet nemico”.
Scoppiò il caos: in Parlamento ci furono sette interrogazioni;
Luzzati, presidente della Commissione d’inchiesta sul disastro,
convocò una conferenza stampa per dire che lui non ne sapeva niente;
l’allora premier Spadolini chiamò subito l’amico Indro
Montanelli per chiedergli di non continuare oltre con articoli di
quel tipo. E venni messo a tacere, mentre Il Corriere della Sera
continuò la sua inchiesta sul DC-9. Quel giorno d’agosto ebbi
davvero la sensazione di come la ragion di Stato prevalga sempre,
anche sulla giustizia.
L’altra
inchiesta che ritengo importante è invece quella che sto ancora
conducendo sul caso Majorana-Pelizza. Ho motivo di pensare che anche
in questo caso siano davvero molti i poteri che non vogliono far
conoscere la verità. |
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8) Il caso
del “doppio” Marconi. Esiste una correlazione tra le due
macchine? E chi era Franco Marconi?
No, si tratta di due storie completamente diverse. Per quanto
riguarda Guglielmo Marconi, abbiamo testimonianze certe che ci
consentono di dire che egli inventò un sistema di trasmissione via
etere, a lungo raggio, che mandava in corto circuito gli impianti
elettrici che venivano colpiti. Per esempio, se le onde colpivano
un’auto in movimento, il veicolo si bloccava subito. E lo stesso
poteva accadere anche ad un aereo, se fosse stato investito da quelle
onde. Per cui si poteva comprendere l’uso che se ne poteva fare
come arma bellica. Marconi diede anche una dimostrazione pratica alla
presenza di Mussolini, bloccando tutta una serie di veicoli lungo la
strada che porta ad Ostia. Poi cominciarono a venirgli dei dubbi.
Applicata agli aerei, quell’arma ne avrebbe fatto cadere a
migliaia. E lui, che era abbastanza religioso, alla fine chiese
consiglio al papa Pio XI. Il pontefice gli fece un piccolo discorso:
“Figlio mio, vuoi essere ricordato per l’invenzione della radio,
che tanto bene ha fatto all’umanità, oppure per aver causato la
morte di tanti uomini con il tuo congegno?”. Marconi comprese.
Tornò nel suo laboratorio e distrusse sia quella macchina, sia il
progetto cartaceo. Nessuno trovò mai traccia di quel dispositivo.
La
storia di Franco Marconi è completamente diversa. A raccontarcela
sono due militari e studiosi della Guardia di Finanza, Gerardo
Severino e Giancarlo Pavat, nel libro “Il raggio della morte”, La
storia segreta del militare italiano che avrebbe potuto cambiare il
corso della II Guerra Mondiale. Ebbene, Franco Marconi era un
finanziere che nel 1939 informò i suoi superiori di avere una
macchina in grado di operare “folgorizzazione a distanza”. In
pratica, puntava il suo meccanismo su un bersaglio anche molto
distante (abbiamo testimonianze che arrivava a 6000 metri)
incendiando e distruggendo l’oggetto preso di mira. Severino e
Pavat hanno trovato fior di documenti che testimoniano come Franco
Marconi avesse ripetutamente dato dimostrazione di questi
esperimenti, di fronte a colonnelli e generali. Venne anche ricevuto
almeno due volte da Mussolini, che gli promise assistenza e aiuto.
Infatti, per far funzionare quel meccanismo, il finanziere aveva
bisogno di due metalli nobili (e costosi): l’oro e il platino. Ed è
qui che entra in ballo la similitudine con la macchina di Pelizza:
anche in quest’ultima sono necessari oro e platino nel meccanismo
interno. Un caso? E chi può rispondere? Tutto quello che possiamo
dire è che, di volta in volta, il povero Franco Marconi venne
perseguitato dai fascisti, dai partigiani e, infine, dai tedeschi
che, visto che non voleva collaborare con loro, lo deportarono nel
campo di sterminio di Dachau. Fortunatamente ne uscì vivo e nel
1945, quando a guerra finita venne congedato, gli imposero di non
fare mai menzione con nessuno della sua incredibile macchina. E si
attenne a quelle disposizioni fino a quando non esalò l’ultimo
respiro. Non si sa, invece, che fine fece quella tecnologia, anche se
è verosimile che sia finita nel comando militare a stelle e strisce.
Più che altro restano i dubbi circa l’origine della macchina di
Franco Marconi. L’uomo non aveva conoscenze tecniche (era perito
agrario) e non sapeva spiegare come mai il suo congegno emettesse
quel raggio letale. Chi glielo aveva dato? E perché? Non abbiamo
risposte a queste domande. 9) La
manipolazione della materia, da Majorana a Ighina alla tecnologia
H.A.A.R.P. Perché l’uomo tenta di controllare l’ambiente
naturale?
Posso
rispondere a questa domanda offrendo solo il mio punto di vista
personale. Mi sembra ovvio che l’uomo cerchi sempre di comprendere
di più e meglio l’ambiente che lo circonda. Inoltre, il desiderio
di conoscere e di cercare nuove soluzioni ai problemi dell’esistenza
è del tutto insito nell’essere umano. Dallo sfruttamento
dell’energia solare, al moto delle acque e al soffio del vento,
l’uomo cerca sempre di ricavare nuova energia. Può anche darsi, ma
non possiamo esserne sicuri, che Majorana avesse davvero trovato
sistemi energetici che oggi ci appaiono fantascientifici. 10) Dall’Era
Nucleare degli anni ’30-’50 a quella Digitale di oggi. Cosa è
cambiato negli equilibri economici del mondo?
Il mondo si basa sempre su rapporti di forza. Al momento, la nazione
più potente è quella americana. Tallonata da quella cinese che
cerca, anche in quanto rappresentante di un sistema politico
alternativo alla democrazia, di dimostrare che il sistema occidentale
ha fatto il suo tempo. E poi ci sono gli altri Paesi, tutti più o
meno armati e orientati a non perdere potere nel proprio ambito
geopolitico. Vedi la Russia, l’Inghilterra, la Germania e la
Francia. Tutti, chi più e chi meno, cercano nuovi mezzi e
prospettive per poter contare di più nell’ambito mondiale. Basta
guardare ciò che sta succedendo in Africa. Non c’è dubbio che la
macchina di Majorana, se esistesse, potrebbe dare una buona mano per
condizionare i rapporti di forza. Personalmente ritengo che, se ci
fosse una possibilità su un miliardo che quella macchina fosse una
realtà concreta, solo un Paese potrebbe disporne: gli Stati Uniti
d’America.
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28/07/2020 12:19:05 |
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