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La Scarzuola, ovvero la Macchina Alchemica di Buzzi |
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Diego Antolini |
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Avevamo
sempre sentito parlare della Scarzuola come di
un luogo mistico, esoterico, carico di simboli e suggestioni che
spaziano dall'astrologia
all’alchimia, dall’architettura visionaria alla spiritualità.
Dalle foto disponibili
su Internet e dalle notizie lette ci siamo fatti
l’idea che si trattasse di una costruzione che raccoglieva una
grande quantità di significati, molti dei quali ancora da decifrare.
Non
si può parlare della Scarzuola oggi senza nominare Marco Solari, un
personaggio che dal 1981 risiede all’interno della proprietà e
guida decine e decine di persone ogni settimana alla scoperta
dell’Opera di Tomaso Buzzi, suo zio. Marco viene visto da molti
come un uomo scontroso, controverso, enigmatico o, semplicemente,
arrogante, ma certamente dopo averlo ascoltato, si fissa nelle
memorie delle persone a livelli sempre diversi.
La
sensazione che abbiamo avuto sin dall’inizio della nostra ricerca
documentale era che la Scarzuola celasse ancora dei segreti non
rivelati, qualcosa di indefinito e sottile che solo l’Alchimia è
in grado di manifestare nella nostra realtà. E, allo stesso modo,
siamo partiti dall’assunto che le voci su Marco Solari erano basate
prevalentemente sull’apparenza, mentre a noi interessava
individuare l’Omphalos, l’essenza ultima di quel luogo, già
trovato e considerato sacro da un grande mistico qual era Francesco
d’Assisi.
Ci sono voluti circa due mesi per preparare
l’incontro, mesi durante i quali Marco Solari è stato sempre molto
disponibile e cortese. Alla fine abbiamo concordato una data,
naturalmente in un orario dove avremmo potuto visitare la Scarzuola
da soli e parlare con Marco in tutta tranquillità. Abbiamo chiesto e
ottenuto di poter arrivare nel tardo pomeriggio, così da poter
osservare alcune dinamiche durante il tramonto, intuizione che poi,
nelle parole di Marco, ci sarebbe stata confermata come un elemento
molto importante.
Siamo
stati accolti all’ingresso della proprietà in uno spazio erboso
circondato da mura dove sono dipinte delle scene dei vangeli. Alla
fine del cortile vi è la chiesa della Scarzula, altro luogo carico
di spiritualità, che però in questa occasione non abbiamo visitato.
Marco ci ha trattenuti nel cortile per una buona mezz’ora,
parlandoci di energie, della sua visione della Matrice-Sistema e
dell’ “isolamento” psichico che protegge la Scarzuola dalle
influenze esterne.
Sapevamo
che la visita non sarebbe avvenuta solo a un livello fisico e
materiale, ma sarebbe stato un percorso iniziatico alla scoperta dei
segreti della Scarzuola. Questo ci si è rivelato immediatamente
nelle parole e nel modo in cui Marco ci ha condotto ad ammirare
l’Opera di Buzzi. L’anticamera nel cortile è servita a tutti noi
per “sintonizzare” le energie sulle giuste frequenze. La
sensazione che abbiamo avuto è stata che fino a quando non lo
avremmo fatto, non avremmo potuto accedere al livello successivo.
Questo si è rivelato essere il giardino. E’
il luogo dove Francesco d’Assisi scoprì
le fonti d’acqua, è il luogo del silenzio e della contemplazione.
E’ il luogo dove, molti affermano, appare Veronica, una presenza
della quale parleremo in un prossimo articolo. Il dialogo con Marco
nel giardino è stato illuminante per capire le connessioni con il
Parco dei Mostri di Bomarzo. Abbiamo immediatamente notato le
similitudini. Marco ci osserva da dietro gli occhiali da sole e ci
dice:
“C’è
un collegamento in quanto tutti e due [giardino
della Scarzuola e Parco di Bomarzo]
hanno espresso un loro stato interiore e tutti e due hanno un
filone...che seguono che è l’Hypnerotomachia Poliphili. Qui c’è
più perché lui [Buzzi]
era veramente ossessionato da quel libro. Lui [Orsini]
invece
era
un capitano di ventura...è stato anche all’estero...quindi risente
dei discorsi dell’Orlando Furioso e della Gerusalemme Liberata. Qui
non ci sono, perché l’architetto è più una situazione di visioni
di luoghi...”
Ma
come è stato coinvolto Marco Solari in questo difficile compito di
“custode”? Egli ci dice di avere una caratteristica che lo
accompagna sin da quando era bambino, cioè quella di non essere mai
stato definito da nessuno. Sia nel nome, che gli veniva spesso
storpiato, che nei lineamenti e nelle appartenenze familiari, Marco
veniva visto come parte integrante e naturale del contesto in cui si
trovava. Una capacità camaleontica che a lui ha sempre divertito.
Lo
incalziamo, gli chiediamo come lui vede se stesso. Dopo un minuto di
silenzio, afferma che la sua forza è l’intuizione, un dono che ha
sempre avuto e che gli ha permesso di “salvare” l’Opera di Buzzi
contro il parere di tutti i familiari, che l’avrebbero voluta
distrutta per costruire un albergo.
“Siamo
negli anni ‘80, sono gli anni che noi [l’Italia]
decadiamo, dove la nostra dimensione, quella creativa degli anni ‘70,
vacilla e comincia ad uniformarsi...”
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Egli
invece aveva intuito o forse, sin dall’inizio, era riuscito ad
entrare in sintonia con essa, che l’Opera doveva essere preservata
per una ragione molto particolare. All’intuizione è seguita
un’azione pratica, quella della preservazione degli elementi.
Quindi sono seguiti anni di duro lavoro per bloccare i crolli.
Finalmente
veniamo guidati, attraverso un viottolo coperto da bassi tralicci
coperti di vegetazione, all’anfiteatro, che è il primo elemento
dell’Opera su cui posiamo lo sguardo.
Ufficialmente
la Scarzuola fu ideata dall'Architetto
Tomaso Buzzi, che aveva iniziato a concepirne
l’idea sin dal 1921, ma che trovò la
zona adatta solo nel 1957. Avendo acquistato il terreno, l’anno
dopo Buzzi cominciò a sviluppare l’Opera, partendo dal concetto di
“sogno non realizzato”. La Scarzuola è, nella sua definizione
più cruda, “la pietrificazione dei sogni” o, come interpretiamo
noi queste parole, la materializzazione di una serie di visioni.
Certo è che Buzzi non era sicuro di riuscire a realizzare il suo
progetto, specialmente quando la sua priorità era la carriera. Solo
in seguito, lasciandosi alle spalle ambizioni e desideri materiali,
potè focalizzarsi su se stesso per iniziare la costruzione. Molta
della sua determinazione è il prodotto degli ostacoli che Buzzi ha
avuto nel corso della sua vita, soprattutto nel secondo ventennio
fascista. Quando il regime ha cominciato ad allargarsi a tutti i
livelli della società e a raggiungere le università, l’architetto
si è sentito privato della libertà ed è entrato in uno stato di
profonda sofferenza.
“Lui
diceva ‘tutto è memoria’. Però la cosa nuova è come io le
metto insieme, quello che crei oggi. Se vuoi creare qualcosa devi
andare nel passato, però io li metto in una scatoletta...”
Attingere
dal passato per ricreare qualcosa in un contesto moderno, usando le
percezioni e le tecnologie riconoscibili da tutti, questo pensiamo
intenda Marco con le sue parole ficcanti e ironiche. Buzzi lo ha fatto
usando però il concetto della prospettiva alterata, della falsa
simmetria e del simbolismo esoterico.
Cerchiamo
di vedere questo suo tentativo di rompere schemi prefissati partendo
dall’asimmetria della prospettiva: abbiamo davanti a noi un
anfiteatro che ha due terrazze circolari sulle quali sono disegnate
la luna (sinistra) e il sole (destra). L’anfiteatro è chiuso sul
lato opposto da una costruzione che rappresenta, nella concezione di
Buzzi, una nave posta di fianco. Al centro della fiancata vi è un
occhio e due orecchie. L’occhio, il cui sopracciglio è un’ala, è
il simbolo di Buzzi, che starebbe a significare il grado di evoluzione
dell’uomo che, giunto ad uno stadio di piena consapevolezza,
osserva e ascolta, ma non parla. Nella nostra lettura di questo
simbolo aggiungiamo che l’Occhio che Tutto Vede non è altro che il
terzo occhio aperto sulle realtà multidimensionali dell’Universo.
Dalle
orecchie partono due file di scale che conducono sul “pontile”
della nave, decorata con un labirinto di linee che ricordano i
moderni chip o transistor. Nelle interlinee vi sono gli strumenti
musicali più disparati: la lira, il flauto di Pan, la trombetta, il
violone. La musica, ci spiega Marco, è una componente fondamentale
dell’Opera di Buzzi.
“...La
musica per Buzzi era fondamentale. Ogni tufo messo in una certa
maniera crea frequenza. La pietra da' una frequenza, questa un'altra.
Ognuno percepisce una cosa diversa...”
L’architetto
infatti, nello scegliere il luogo, sapeva dell’esistenza dell’acqua
sotterranea e conosceva le proprietà del tufo, che si disgrega a
poco a poco sotto l’effetto combinato degli elementi: aria (vento),
fuoco (sole), acqua e terra (muschio). Il lavoro di questi elementi
sulla roccia produce delle frequenze sottili, una musica inaudibile
ai più, ma che per un’alchimista è una fase imprescindibile,
quella dei principi cabalistici della disgregazione (Yesod) del regno
materiale (Malkuth).
Dal
pontile, guardando alle nostre spalle, possiamo vedere che tra le due
torri d’ingresso è acquattata una bestia cornuta dalle fauci
spalancate. Una figura demoniaca posta esattamente davanti all’occhio
alato. Tra i due simboli vi è l’arena dell’anfiteatro, dove
nell’antichità si recitava la vita nelle sue tre componenti
principali: la commedia, la tragedia e la satira. Il mostro è inteso
come la selva oscura di Dante, i mostri, o la rappresentazione delle
paure incontrollate che l’uomo si porta dentro.
Marco
ci spiega che vivere alla Scarzuola “significa avere i piedi bene
ancorati per terra”. Il suo ruolo di “custode” non si limita
alla manutenzione della proprietà, ma tocca l’essenza stessa
dell’Opera, visto che è stato proprio egli stesso ad aver dovuto
realizzare parte degli elementi che Buzzi aveva solo lasciato in forma
di disegni e appunti:
“...Nello
stesso tempo deve essere tutto annullato dalla pazzia. Non è una
missione, è troppo pesante, ma il teatro è ironia. Infatti lui
[Buzzi]
fa tre giochi insieme. Nel teatro ci sono tre tipi di scenografie:
una per la commedia, ed è data dalla città contemporanea. Una per
la tragedia e alla città contemporanea si aggiungono gli edifici
antichi. E una è la satira che ha la natura...”
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Questo
perché nel teatro della vita sono necessari tutti e tre gli aspetti,
e vanno equilibrati. La maggior parte della gente oggi tende ad
aggrapparsi agli estremi tra commedia e tragedia, ma non aggiunge la
satira che invece, afferma Marco, “è la parte centrale del Tau”.
Questo
intreccio di situazioni è magistralmente simboleggiato dal labirinto
di erbetta che compone il piano dell’anfiteatro. Il labirinto è la
prova più difficile che si ha sul piano della vita. Carichi come
siamo di “mostri” (ansie e paure), nel labirinto dobbiamo trovare
la strada per conoscerle e controllarle. Solo allora si troverà una
via d’uscita e, infine, il terzo occhio, quello “alato”, si
risveglierà.
Al
centro del piano c’e’ un piccolo obelisco, lo “Zed” che
potrebbe catalizzare, ma è una nostra opinione, le energie celesti e
quelle terrene nel punto nevralgico dell’Opera, a metà tra le
forze ctonie (rappresentate dalla bestia all’ingresso) e quelle
uraniche (l’occhio alato), cioè dove si gioca la partita
dell’esistenza, sul piano della nostra realtà materiale.
E’
lì che Marco ci fa notare un suono, impercettibile, che pervade
l’intera struttura:
“Vedete
che il tufo si sgretola e ritorna terra? Lui [Buzzi]
voleva il lavorio del tufo, il lavorio del muschio che mangiava il
tufo e del gelo che disgregava e che era musica. Faceva parte della
musica che noi non percepiamo. Lo sgretolamento è musica, lui
diceva. Sempre per il Solve
et Coagula...”
Quindi
Tomaso Buzzi avrebbe voluto che la sua Opera, nata
dalla terra, tornasse alla terra, come un Golem la cui iscrizione
magica viene cancellata? Sono state queste parole di Marco il primo
indizio che ci ha fatto riflettere sulla reale funzione di questo
complesso architettonico. La
nostra guida aggiunge che
egli stesso si occupa di mantenere l’equilibrio tra le due forze,
“...perche’
devi lasciare che la natura prenda possesso, ma nello stesso tempo
devi non far totalmente che si sciolga, devi consolidare. Il muschio
lo tolgo poco perche’ deve sentirsi questa musica...”
Quindi
tutta la simmetria degli elementi e il loro equilibrio è
in molti casi apparente. Infatti le proporzioni sono falsate, tra
nanismo e gigantismo, e ciò
che troviamo a destra non è esattamente identico a quello che c’è
a sinistra. E’ un paradosso? No, perché Buzzi intendeva uscire
dagli schemi predeterminati che lo avevano soffocato in vita;
intendeva uscire, come ripete Marco più volte nel corso della
giornata, “dalla Matrix”. Eppure, in una visione globale
dell’Opera, non possiamo che apprezzare la bellezza e l’armonia
delle forme, delle posizioni, degli angoli e delle strutture. Ci
rendiamo conto di essere di fronte ad un altissimo livello di
architettura esoterica.
Ci chiediamo se Tomaso Buzzi fosse in
realtà un alchimista mascherato da architetto. Marco ci spiega che
la magia faceva parte della formazione di suo zio, ce l’aveva
dentro e l’ha utilizzata per creare un sistema di “conservazione
della memoria” sui modelli di Giulio Camillo Delminio, del quale
oggi si parla pochissimo. L’Opera di Buzzi è un enorme archivio
mnemonico che può essere letto a vari livelli a seconda del grado di
maturità cognitiva e sottile che si possiede:
“...ecco
perché c’è l’infinito, perché [l’Opera]
è eterna, quindi passato, presente e futuro li ha messi tutti
insieme. Perchè [Buzzi]
aveva la visione dall’alto, ecco l’occhio e l’ala, lui aveva
visto tutto...”
Dal “pontile” della nave ammiriamo forse la parte che più
incarna l’ “archivio della memoria” di Tomaso Buzzi, la sua
città ideale: una costruzione surrealista poggiata sulla nave di
Caligola che, a sua volta, galleggia sul lago di Nemi. La città è
una trasposizione in prospettiva dei vizi e delle virtù umane. La
base, in scala naturale, è una serie di celle e prigioni scure,
mentre man mano che ci si eleva, in alto le proporzioni di
allontanano, vengono ridotte in scala, in una visione paradossale che
rappresenta le contraddizioni dell’uomo, che cerca le virtù
avendone una prospettiva falsata, mentre cade nei vizi senza
conoscerne l’essenza venefica. Così in alto osserviamo il
Partenone, il Colosseo (“Buzzi aveva la casa a Roma che si
affacciava su di esso”), la torre dei Gonzaga (“li amava”) e
poi la torre dei venti, la piramide, l’arco di trionfo, gli
obelischi:
“La
piazza è un ottagono. L’ottagono è una tartaruga, la piazza
ricorda la città ideale a Urbino. Poi lui [Buzzi]
rifà lo stesso gioco di prima. Se di qua ci sono i templi, ci devono
essere anche di là, ma li fa disuguali. Sempre per il due...l’unione
è in armonia. Lui crea un’opera nell’unità...”
Quando
Marco Solari si è trovato di fronte al compito di continuare l’Opera
di Buzzi, ha dovuto fare i conti non solo con le difficoltà materiali
ma, soprattutto, con l’enorme lavoro interiore di “ascoltare” e
capire il significato di ogni singola pietra. L’intuizione
principale è stata quella di “azione immediata”: azionare, anche
sbagliando, per poi correggersi in movimento. Lo stallo è la cosa
più tremenda perché è quello che vuole il sistema, “la Matrix”.
Questo è il secondo indizio che ci ha guidato alla comprensione
dell’Opera.
La “Città Ideale”, o meglio, il gruppo degli
elementi posti sulla poppa della nave (orientata a ovest) che
rappresentano le virtù umane, è ispirata al lavoro che Antonio
Averlino detto il Filarete aveva progettato per Francesco Sforza e
chiamato “la Sforzinda” (poi ripreso anche da Walt Disney nella
sua celebre città incantata che ne rappresenta il marchio). Quel
progetto, mai realizzato, si è qui concretizzato nella “Buzzinda”,
come la chiamava Tomaso Buzzi.
“E’
una città progettata...con la prospettiva...Il primo piano è
regolare...poi quando comincia a fare i piani superiori li
falsa...perchè per il Filarete la città era dispiegata sia
interiormente che esteriormente...rappresentava anche l’umano...”
La
nave è in movimento, perché non è dritta, fa notare Marco, ma la
sua asse è leggermente inclinata, in direzione del mostro e del
labirinto. Ci sembra, allora, che la chiave simbolica stia tutta nel
movimento. L’acqua, o il mercurio fluido, che favorisce il
trasporto dell’anima o della mente elevata che, una volta
risvegliato il terzo occhio, può andare “al di là”, verso Sud,
verso una dimensione diversa. Non possiamo non notare la somiglianza
con il lago o mercurio filosofale di Maat (concetto egizio
antichissimo che simboleggia il giudizio, l’equilibrio, la misura,
ecc), sopra il quale la barca solare di Osiride viaggia. E, a
conferma di questo, notiamo come sulle mura esterne dell’Opera si
ripete il simbolo del Sole. Chiediamo a Marco una spiegazione:
“L’Opera
è solare, lui [Buzzi]
segue il discorso solare...Ci sono dei momenti dell’anno dove il
Sole colpisce determinate cose e le enfatizza...Poi ci sono i famosi
passaggi, cioè il crepuscolo e l’alba...sono i più interessanti,
quegli attimi che durano niente e in cui però l’Opera vibra...”
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Possibile
che l’Opera di Tomaso Buzzi sia dedicata ai Misteri di Osiride? In
chiave alchemica sicuramente si, anche se “mascherata”
dall’iconografia occidentale. La stanza delle nove muse, ad
esempio, potrebbe rappresentare l’Enneade di Eliopoli. La donna
gigantesca che ammiriamo appena usciti dal labirinto potrebbe essere
Iside e l’energia femminile, che protegge il suo utero (stanza
circolare dietro di lei) inseminato da Osiride (albero spoglio e
secolare presente al centro della stanza è simbolo fallico e
obelisco naturale).
Nel
nostro viaggio “al di là” del labirinto troviamo, oltre alla
Grande Madre e al suo Sancta
Sanctorum,
il lago alchemico e, in basso, la Via Alchemica della Magia Bianca,
Rossa e Nera. Ma la guardiamo solo dall’alto, perché il crepuscolo
si avvicina e vogliamo entrare nel ventre della nave, dove Marco non
permette ancora l’ingresso al pubblico. Lì ci viene mostrata la
stanza di Diana, con una pozza d’acqua a mezzaluna (e siamo dietro
all’Occhio Alato) e l’energia che avvertiamo si intensifica. La
sensazione di incompiuto, di attesa qui è più intensa. Chiediamo a
Marco se l’Opera sia davvero completa. Lui risponde:
“...so
che fra un anno devo tornare perché mi chiamano qua. Mi stanno
chiamando. Mi sta chiamando l’Opera...sento che devo venire qui a
fare dell’altro, ma non so che cosa...perchè io devo capire bene i
meccanismi qui dentro. C’è la Via Secca, mentre questa è la Via
Umida...perchè la nave è dentro l’acqua...”
Azzardiamo,
a questo punto, quello che durante tutta la visita è cresciuto da
germe dell’intuizione ad una rivelazione. L’Opera di Buzzi è un
entità viva, una macchina alchemica organica che deve però essere
attivata, come lo sono molti altri luoghi come la piramide di Giza in
Egitto o il tempio di Angkor Wat in Cambogia (da noi personalmente
visitato), Stonehenge, Baalbek, Tiahuanaco, ecc. Avvertiamo la stessa
vibrazione elettrostatica, lo stesso campo di forze che non proviene
direttamente dall’Opera ma dall’area, dalla stessa terra.
La Scarzuola, come individuata da Francesco d’Assisi, è certamente
uno dei luoghi del pianeta dove è presente un’intersezione delle
linee di energia cosmiche, o Ley Lines. Tomaso Buzzi doveva saperlo
quando ha scelto di acquistare il terreno per materializzare la
propria visione.
Quali
sono i benefici nella visita a questa incredibile combinazione tra
ingegno umano e visione sottile? “Essere se stessi” è, secondo
Marco Solari, il messaggio ultimo della Scarzuola. E, aggiungiamo
noi, una possibilità unica di comprendere i propri mostri interiori
per uscire dal labirinto della realtà attuale, per guardare “oltre”,
per navigare verso i misteri dell’Infinito. |
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31/01/2019 00:43:39 |
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