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Treia |
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Diego Antolini |
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ITINERARIO
In auto:
Da Nord: prendere l'autostrada A14
Bologna-Bari in direzione di Ancona, uscire ad Ancona Nord, seguire la
direzione Roma, proseguire sulla SS 76, uscire a Jesi Centro, continuare sulla
SP 9 in direzione di Filottrano, attraversare Filottrano e proseguire seguendo
indicazioni per Treia.
Da Sud: prendere l'autostrada A14 in direzione di Napoli, uscire
a Civitanova Marche, immettersi sulla SS 77 in direzione di Tolentino/Macerata,
uscire in direzione Macerata Ovest - Sforzacosta, proseguire in direzione
Macerata, attraversare Sforzacosta e proseguire seguendo indicazioni per Treia.
Da Macerata: prendere la SP 108,
attraversare Passo di Treia e seguire le indicazioni per entrare in Treia.
In treno: Stazione ferroviaria di
Macerata. Per consultare gli orari dei treni visitare il sito web di
Trenitalia www.trenitalia.com
In autobus: Autolinee Contram (www.contram.it)
In aereo: Aeroporto "Raffaello Sanzio" - Falconara (AN)
(55 Km da Treia) www.aeroportodiancona.net Collegamenti Aeroporto Ancona –
Stazione ferroviarie di Ancona. Linea urbana CONERO BUS www.conerobus.it
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CULTI EGIZI NELLE MARCHE
Nel corso della
nostra indagine sulla storia pre-cristiana di Treia e del Santuario del SS.
Crocifisso, attorno al quale ruotano tutte le ipotesi sulle influenze Egizie
sulla presenza del culto di Iside, ci e’ stato di grande aiuto la pazienza e la
disponibilita’ della prestigiosa Accademia Georgica (fondata nel 1430 da
Bartolomeo Vignati come Accademia dei Sollevati che accoglieva poeti e
intellettuali rinascimentalie e, in seguito, specializzata nella
sperimentazione delle tecniche agricole tanto che Napoleone Bonaparte ne fece
un polo di cultura agraria per l’Italia), in particolare del suo segretario
Dott. Ivano Palmucci, che ci ha messo a disposizione l’archivio storico per la
consultazione di manoscritti antichi e di testi ormai fuori stampa.
Il sopralluogo al Santuario vero e proprio non ha potuto dare i risultati
sperati vista la recente e completa ristrutturazione dell’edificio che
attualmente presenta i tratti di una moderna chiesa cristiana. Gli stessi frati
Zoccolanti che lo gestiscono ci hanno solo mostrato i resti delle mura del
tempio precedente al Santuario e alcuni frammenti archeologici fissati alle
pareti che dovrebbero descrivere le varie epoche in cui il tempio fu attivo.
Quindi la maggior parte della storia del tempio pagano di Treia e dei suoi
culti misterici e’ stata estrapolata attraverso un paziente lavoro d’archivio e
comparazione testuale.
L’antico municipio romano di Trea (cosi’ il nome in origine) e’ situato su un
pianoro che si estende sulla diramazione della via Flaminia che da Septempeda
conduceva per Auximum ad Ancona. Della struttura oggi restano solo le rovine
della cinta muraria in corrispondenza della porta Ovest del Santuario.
Scrive Fabrini nel suo saggio “Dal culto pagano al culto cristiano” (pubblicato
su PICUS – Studi e ricerche sulle Marche nell’antichita’ – X – 1990) che il
luogo dove oggi sorge il santuario era di notevole importanza nella tradizione
antica locale. Nel Seicento vennero ritrovate tracce di bagni in pietra
marmorea e acquedotti tra loro collegati per il trasporto dell’acqua. Gia’ nel XVI e XVII secolo, tra i vari ritrovamenti archeologici nell’area del convento, fu rinvenuta una testa di Giove Capitolino (o Turrito) e una figura femminile che dapprima era stata associata a Lucretia Sabina ma anche ad una piu' generica Venere; nonostante i due volti siano stati rinvenuti nella stessa area e pertanto citati insieme "come parte di un gruppo ben conosciuto", successivamente (Susini, 1967) la testa di Giove Capitolino fu riconosciuta come immagine di Serapide.
Altre statuette di fattura greco-egizia vennero portate alla luce, incluso un
frammento scultoreo di Attis. Questo ha portato gli studiosi dell’epoca a
ritenere che nell’area del santuario vi fosse in origine un luogo sacro pagano,
forse un tempio. Tale ipotesi non fu accettata da tutti gli accademici, anche
se molti (Kater-Sibbes, Hornbostel, Budischovsky) inseriscono Treia tra le zone
dove i culti orientali si diffusero tra i Piceni.
Bejor nel suo studio su Trea, esplicitamente parla del Santuario del SS.
Crocifisso come del “Santuario dei culti orientali” collegando tra di loro i
reperti di natura scultorea e associando divinita’ egizie ad altre di origine
microasiatica.
Bejor fa risalire l’ingresso di tali culti nell’area Picena al II secolo e.v.
grazie a personaggi romani di spicco quali Quinto Ramnio Marziale e Camurio
Clemente (entrambi con lunga militanza in Egitto); meno certa e’ invece la sua
teoria che vuole la localizzazione del tempio pagano dove oggi e’ il campanile
del santuario. Tale ipotesi non risulta suffragata da alcuna prova e pare oggi
essere stata completamente scartata.
Sulla citta’ Romana di Trea in eta’ tardo-antica non vi e’ alcuna testimonianza
ne’ scritta ne’ monumentale, ma certamente essa doveva essere stata assorbita
nella stessa struttura amministrativa che aveva interessato gli altri territori
romani.
In seguito alle invasioni barbariche la zona di Treia vide il passaggio dei
Goti di Alarico che si dirigeva a Roma; egli distrusse Urbisalvia nell’anno 408
ma in generale il Piceno venne razziato anche nel 409 e nel 410. In seguito la
guerra Gotico-Bizantina e le numerose carestie prostrarono la zona fino a far
scomparire ben 15 centri urbani.
Con l’arrivo dei Longobardi in Italia anche la zona Picena venne conquistata e
riorganizzata territorialmente in varie frazioni e con un numero limitato di
borghi.
Di fatto prima del XII secolo non si hanno documenti che attestino le vicende
storiche di Treia a seguito della dominazione longobarda. Sembra peraltro che
il luogo del Santuario del SS. Crocifisso abbia sempre formato un centro di
aggregazione anche per la comunita’ degradata dell’abitato romano. La presenza
di frammenti architettonici che sono stati inglobati nella struttura
dell’attuale convento rappresentano una testimonianza indiretta dell’esistenza
di una fase della chiesa risalente almeno a prima del IX secolo.
Il nome di Trea compare in una pergamena
del 1157, un atto notarile con i quali ai consoli di Montecchio viene ceduta la
rocca di Monteacuto.
Negli ultimi decenni del XV secolo Treia esce dall’oscurita’ in cui era
precipitata grazie ad un rinnovato vigore religioso: il culto del crocifisso intorno
ad un’immagine venerata.
Mentra la Pieve di Treia perde titolo e identita’ la sua chiesa acquista una
vitalita’ senza precedenti grazie alla devozione verso il SS. Crocifisso e
sotto una gestione attenta e prolifica dei Padri Fiesolani.
Dal 1670 la custodia del SS. Crocifisso passa ai Padri Francescani che, tra
alterne vicende politiche ed economiche, riuscirono a compiere una notevole
opera di ristrutturazione dell’edificio. Nel 1902 un terribile incendio
distrusse l’altare maggiore della chiesa (ma si riusci’ a salvare l’immagine
del SS. Crocifisso).
Tra il 1905 e il 1910 vengono attivati i lavori di restauro sotto la
responsabilita’ tecnica dell’Ing. Cesare Bazzani di Roma. Il nuovo campanile
prevede una facciata destinata ad accogliere un certo numero di reperti
archeologici e, in due nicchie ricavate appositamente, due statue di marmo
verde di stile greco-egizio (oggi il santuario ospita due repliche, mentre gli
originali sono conservati al Museo di Treia).
A proposito della pratica di un culto egizio a Treia, e prima di trattarne
approfonditamente grazie agli studi sul posto dell’egittologa G.C.Vittozzi,
segnaliamo la scoperta, nel 1725, di una sepoltura nel basamento del campanile
della vecchia pieve. Scrive Fabrini a proposito del ritrovamento:
“...La singolarita’
di tale basamento...raccordata con i rinvenimenti archeologici
effettuati...conduce ragionevolmente ad individuare, nei resti
conservati,...quelli di un piccolo tempio o sacello, la cui destinazione non
puo’ altrimenti collegarsi se non con il culto che qui veniva praticato che,
con certezza, si delinea ormai come connesso alle divinita’
egizio-orientali...”
Dal punto di vista
strutturale, le rovine romane analizzate persso il santuario hanno rivelato un
allineamento regolare NS-EO, con un assetto che lascia intravedere un’area di
grande estensione e contrassegnata da un tempio con podio circondato da un
cortile lastricato con pavimentazione. Sotto il profilo planimetrico i
confronti piu’ pertinenti che sono stati fatti appartengono chiaramente a
tradizioni orientali: santuario di Ampurias nella penisola Iberica e santuario
di Ras el Soda nei pressi di Alessandria d’Egitto.
Stilisticamente, ritrovamenti artistici in tal senso annoverano una testa
marmorea di Serapide, e un emblema policromo frammentario che mostra elementi
di chiara provenienza egizia: tra tutti la figura dell’uccello trampoliere che
puo’ facilmente identificarsi con Ibis, uccello sacro dell’Antico Egitto e
strettamente collegato al culto di Iside.
Al centro dell’emblema la figura di un cane nero nell’atto di spiccare un balzo
rappresenterebbe uno dei simboli (piuttosto rari) del dio Anubis, divinita’
ctonia con caratteristiche psicopompe che veniva associato a pratiche funerarie
ma anche al culto isiaco (in qualita’ di intermediario e messaggero tra il
mondo dei vivi e quello dei morti).
Giuseppina Capriotti Vittozzi e’ dottore di ricerca in Egittologia con una
corposa attivita’ accademica nazionale e internazionale. E’ forse la prima
egittologa che si e’ interessata specificamente di Treia e, in generale, delle
influenze egizie nelle Marche. I suoi studi sull’argomento sono stati
pubblicati nel 1999 da Tipigraf s.n.c. con il titolo “Oggetti, idee, culti
egizi nelle marche – dalle tombe picene al tempio di Treia” a riprova del fatto
che l’innesto di pratiche orientali nella civilta’ Italica non deve essere
preso come un fenomeno superficiale e transitorio, ma anzi come un importante e
significativo passaggio antropologico e culturale della storia della penisola.
Con la fondazione del porto di Ancona da parte dei Greci provenienti da Delo,
le vie marittime di comunicazione interessarono Taranto, Alessandria d’Egitto e
Rodi con scambi commerciali che riguardavano ad esempio l’industria vetraria.
Il tempio che dominava il porto (e sulle cui fondamenta sorge oggi la
cattedrale di San Ciriaco) sembra fosse dedicato ad Afrodite Euploia, divinita’
protettrice della navigazione e il cui culto e’ originario del Mediterraneo
orientale. Secondo Malaise tale divinita’ era collegata con altre figure
femminili benefiche quali Iside Pelagia o Iside Euploia. Il ritrovamento a San
Ciriaco di un frammento di epigrafe, nel quale un prefetto d’Egitto vi ha
inciso una dedica al tempio che a sue spese aveva fatto ricrostruire, e’ un
segnale importante che potrebbe confermare il canale d’ingresso della cultura
egizia nel territorio marchigiano.
Un altro polo importante tra Egitto e le civilta’ italiche era Aquileia,
giungevano oggetti di pregio dall’Egitto come gemme e vetri, si praticavano
culti egizi; sull’asse Ancona-Aquileia questi si diffusero poi sul territorio
marchigiano (Ascoli Piceno, Tronzano, Fabriano, Osimo, Cagli, Castelbellino,
Castelfidardo, Cupra Marittima, Fano, Pesaro).
L’area dell’antica Cupra Marittima e’ interessante per la questione
dell’ubicazione del tempio della dea Cupra (ancora oggetto di discussione tra
gli studiosi), figura poco conosciuta e che per alcuni e’ identificabile con la
dea Bona (cui il tempio pagano di Rambona era in origine dedicato, vedi ENIGMI
DELLA STORIA N.5) ma piu’ probabilmente parte di un trittico
Cupra-Bona-Sibilla.
La dea Cupra potrebbe invece essere una versione locale di Afrodite (uno dei
cui epiteti era Cypria), simbolo femminile e materno.
Uno dei ritrovamenti nella zona di Cupra Marittima e’ una mano che porta
avvolta al polso un serpente, reperto oggi scomparso ma attestato da Colucci e
da Colonna.
Secondo quest’ultimo si tratterebbe dell’unico oggetto riferibile con certezza
al santuario della dea Cupra. Perche?
Il serpente avvolto intorno alla mano e’ tipico della dea Bona ma si ritrova
anche in alcune immagini di Iside. Un serpente accompagnava anche Igea. Queste
tre dee avevano capacita’ guaritrici (un dettaglio che rafforza l’ipotesi che
il santuario di Rambona fosse, in effetti, un luogo di pellegrinaggio a scopi
taumaturgici in epoca pagana e che lo stesso S.Amico ne continuo’ la tradizione
in epoca cristiana).
Una statuetta di Iside-Demetra conservata a Berlino tiene nella mano destra un
serpente che le si attorciglia sul polso, mentre sul capo porta una corona di
spighe al cui centro un serpente squamato solleva il capo.
Mentre Diebner assegna al serpente un significato di guardiano dell’oltretomba
e figura apotropaica, ci sembra che un piu’ efficace simbolismo sia quello di
figura dai poteri curativi e taumaturgici, depositario di conoscenza ed entita’
protettiva (prospettiva orientale che ben si adatta all’associazione con figure
femminili benefiche come Cupra, Bona e Iside).
Vittozzi pone l’accento sul fatto che i siti marchigiani che hanno rivelato
testimonianza di culti egizi sono per lo piu’ dislocati lungo le valli che
dall’Appennino si aprono verso il mare, e non lungo le coste come si potrebbe
logicamente pensare se si accetta il porto di Ancona come “ponte di accesso”
tra l’Oriente e l’entroterra italico.
L’acqua era un elemento essenziale per gli antichi culti pagani legati alla
fertilita’ ma anche alla taumaturgia: cosi’ la dea Cupra e la dea Bona (e la
loro controparte maschile pare essere la figura di Ercole) venivano
particolarmente venerate in localita’ marchigiane dove si trovano sorgenti
termali: grotte, cavita’, fossi. E torniamo nuovamente al sito di Rambona che
viene menzionato da Vittozzi come “di particolare spicco...indagato da
A.Nestori”.
I santuari dedicati a questo genere di culti avevano secondo Vittozzi una
funzione mediatrice in quanto favorivano la stratificazione culturale e il
sincretismo, dimostrando una continuita’ eccezionale nel tempo attraverso
l’epoca cristiana. Ma per tornare all’oggetto della trattazione, il proliferare
dei culti idrici avrebbe favorito l’attecchirsi dei riti egizi nei quali
l’acqua era un elemento chiave.
Tra i luoghi che hanno lasciato piu’ considerevoli tracce di culti egizi vi e’
il Santuario del SS. Crocifisso di Treia, che verra ampiamente trattato in
seguito.
Le varie divinita’ egiziane che possono essere associate al territorio sono:
- Iside (probabilmente avvicinata a divinita’ romane legate alle acque, come le
ninfe; l’ingresso della divinita’ egizia nelle Marche puo’ essere stato
favorito dalla presenza di culti gia’ dedicati a figure femminili come la dea
Cupra e la dea Bona. A seconda dei luoghi iside veniva identificata come Regina
(Recina), Victrix e Invicta (Ascoli), Fortuna (Fano).
- Serapide, partendo dal legame Iside/Giunione (che era assimilata alla locale
Cupra), Serapide viene presentato come Giove Sole Serapide. Non e’ chiaro in
che rapporto questa divinita’ fosse con le altre divinita’ orientali nelle
Marche (Attis a Osimo, Mithra a Fano), Il culto pubblico di Serapide e’
attestato con certezza a Treia ma probabilmente si svolgeva in un territorio
piu’ allargato.
- Osiri, Osiride, una delle figure principali del Pantheon egizio. Sposo di
Iside, sovrano dell’oltretomba ma anche divinita’ legata alle acque del Nilo. All’inizio
dell’epoca tolemaica la nuova figura di Serapide Osiris-Apis venne affiancata a
Iside mantenendo la caratteristica ctonia ma connessa alla fecondita’ e con un
sempre piu’ marcato carattere solare (assieme alle capacita’ guaritrici).
Connesso a Osiride e Serapide e’ il toro Api, immagine della forza generatrice.
- Arpocrate, unica testimonianza del dio bambino della triade
Iside-Osiride-Horus e’ testimoniato solo dal bronzetto di Treia. Il dito indice
portato alle labbra e’ simbolo dell’infanzia in Oriente, ma in Occidente e’
stato interpretato come un richiamo al silenzio. Le ali sulle spalle fanno
riferimento a Eros-Cupido, il nebride proviene da Dioniso, la cornucopia lo
associa ai riti della fertilita’. La civetta ai suoi piedi (forse in sostituzione
del falco di Horus) e’ di piu’ difficile interpretazione ma potrebbe essere
associata alla sapienza o all’oscurita’ secondo le nostre ricerche. Il
copricapo piramidale simile ad Attis, mentre la mazza alla quale e’ appoggiato
si riferisce a Ercole.
Il nesso tra Arpocrate e Attis starebbe in Cupido, mentre quello
Arpocrate/Ercole e’ di chiara derivazione egizia.
- Anubi, tradizionalmente rappresentata in maniera completamente teriomorfa,
come canide, o antropomorfa con la sola testa di animale. In Egitto esso e’ il
dio preposto all’imbalsamazione dei corpi e psicopompo (quindi assimilato a
Hermes).
- Hermes-Thoth, figura legata all’ermetismo, dovette la sua diffusione in
seguito al famoso evento della pioggia miracolosa durante un attacco dei Quadi
nella guerra danubiana all’epoca di Marco Aurelio: Dione Cassio attribuisce il
prodigio alle preghiere del sacerdote egizio Arnufi, il quale aveva invocato
Hermes Aerios. Dopo l’intervento miracoloso fu eretto un tempio in onore di
questa divinita’. Essa veniva rappresentata come Hermes-Mercurio (con la borsa
in mano e il particolare copricapo sormontato, in questo caso, da una foglia
sopra la fronte).
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AMULETI EGIZI NELLE TOMBE PICENE
L’attuale regione
delle Marche corrisponde a una parte dell’antico Piceno, che si estendeva tra
il fiume Esino e il Salino in Abruzzo. Il mare Adriatico da un lato e le valli
dei fiumi appenninici dall’altro rendevano agevoli i contatti con l’Oriente
mediterraneo sia dalla parte Adriatica che Tirrenica. Landolfi descrive il Piceno
come “crogiuolo di genti, laboratorio e focolare di tradizioni artigianali
complesse e originali e soprattutto terra di incontro e di confine tra mondo
mediterraneo ed Europa continentale”.
Secondo Garbini le genti orientali sarebbero giunte sull’Adriatico gia’ nel
XIII sec mutuandone alcuni toponimi (come Ascoli dalla palestinese Ascalona, o
l’origine della dea Cupra da Afrodite Cypria).
Anche se le modalita’ con le quali si verificarno questi contatti non sono del
tutto chiare, si ritiene che i rapporti con il mondo del Mediterraneo Orientale
siano stati mediati dalla civilta’ Etrusca, che avrebbe reso possibile non solo
le vie di comunicazione fluviale ma anche favorito le importazioni di materiali
esorici.
Sugli amuleti egizi, originali o riprodotti da artigiani greci e fenici, poggia
un ruolo importante per la diffusione di immagini e idee religiose e magiche in
tutto l’Occidente. Essi furono il veicolo per un’iconografia magica che
interesso’ molteplici strati della societa’. I Greci e i Fenici li esportarono
lungo tutto il Mediterraneo e poi in Europa continentale.
Sul loro uso e funzione Vittozzi scrive:
Bes, divinita’ egizia raffigurata come un nano dalle fattezze mostruose e
parzialmente animali, e’ presente nel Piceno con tre statuette rinvenute a San
Severino. Bes e’ una delle divinita’ piu’ antiche del Pantheon egizio . Spesso
porta una corona di piume, puo’ essere armato di coltello e aveva una funzione
protettiva per la donna (gravidanza, parto, fertilita’).
Bes era usata per decorare le camere da letto, le tolette femminili, i rilievi
dei templi. Associato a Horus, possiede il potere di protezione contro i morsi
di animali pericolosi. Veniva spesso rappresentata nell’atto di suonare uno
strumento e ballare. Spesso era accompagnato da scimmie.
Gli scarabei, animali associati al moto del sole che scompare sotto terra e poi
rinasce. Il nome ad essi attribuito, Hprr, era associato con il verbo Hpr che
significava “nascere, essere divenire”. Gli scarabei erano il genere di amuleto
egizio maggiormente diffuso nel Mediterraneo, di varie fattezze e materiali.
L’amuleto di Isis Lactans descriver Iside seduta nell’atto di allattare il
piccolo Horus tenuto sulle ginocchia. E' un simbolo chiaro di maternita’ e
protezione dell’infanzia, evocativi dei grandi poteri di maga attribuiti a
Iside.
Il gatto di Ancona presenta una tipologia piuttosto insolita: non e’ seduto
come in genere nelle figure egizie ma e’ disteso con il muso rivolto a novanta
gradi. Il gatto era immagine della dea Bastet particolarmente venerata a
Bubasti, considerata una forma benefica della pericolosa Sekhmet. Bastet
proteggeva la casa e i neonati. Era collegata ad Hathor e Iside, partoriente e
nutrice.
Su Sekhmet vi sono due amuleti che la raffiguravano, provenienti da una tomba
femminile di Novilara. Amuleti di Sekhmet sono stati trovati anche in Etruria e
in molti siti del Mediterraneo. In Egitto la leonessa Sekhmet era legata ad
Hathor, dea della musica, della danza, dell’amore, che tuttavia possedeva
caratteri minacciosi e infidi. Essa incarnava la potenza dell’occhio di Ra,
protettrice degli dei ma anche distruttrice del mondo se non placata con
opportuni riti.
Tutti questi amuleti non erano usati solo per decorazioni tombali ma erano
indossati da vivi a protezione e abbellimento della donna. Le popolazioni
Italiche, non avendo contatti diretti con l’Egitto, dovevano accettare la
mediazione di Greci e Fenici che gestivano il commercio degli amuleti e dei
prodotti orientali.
Gli amuleti erano comunque soggetti all’interpretazione locale e il loro uso e
significato poteva variare rispetto alla simbologia originale. Nel territorio
marchigiano, nella loro rarita’, offrono un campionario ben rappresentativo:
simboli associati alla donna, di protezione, generazione, fertilita’ ma anche
protezione e cura del neonato. Questo immaginario non puo’ provenire
dall’Oriente ma doveva essere profondamente radicato nella cultura Picena del
territorio che prediligeva i culti femminili forse in memoria dell’ancestrare
culto della Magna Mater.
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GLI SCAVI DI TREIA
Treia o Treja (antica Trea) e’ un piccolo centro fortificato
della provincia di Macerata posto sulla cresta di un’altura e sorto
probabilmente intorno all’XI secolo.
L’antica Trea romana si trovava nella vallata sottostante a pochi chilometri di
distanza, in una posizione che favoriva la produzione agricola ma che era anche
nei pressi della via Prolaquense (una direttrice della Flaminia) che, passando
per Septempeda andava verso Ancona.
Molti studiosi locali e non si sono avvicinati a Treia nel passato, primo fra
tutti Fortunato Benigni che ha lasciato una cospicua documentazione. Egli
effettuo’ i primi scavi archeologici che sono ampiamente discussi in una
lettera al Cavalier Millin nel 1812.
Anche i frati Francescani del convento annesso al Santuario hanno lasciato
manoscritti e cronache.
L’interesse egittologico per Treia e’ nato in seguito al ritrovamento di alcuni
reperti importanti come una testa di Serapide e una di Iside, tre statuine in
terracotta del tipo Wsbti e altro ancora.
Il riconoscimento dell’esistenza a Treia di un culto isiaco non e’ avvenuto con
facilita’, come leggiamo nel lavoro di Vittozzi: Susini aveva per primo
ipotizzato la presenza di un santuario di culti orientali, e che le statuette
egizie sarebbero state portate sul territorio da veterani Romani che avevano
combattuto in Egitto.
I frammenti egizi ritrovati nel Santuario del SS. Crocifisso erano poi stati
murati sul fronte del campanile: una statuetta maschile regale acefala; una
statuetta femminile danneggiata; la gamba di una statua maschile; un frammento
non identificabile appartenente a una quarta statua.
Nel 1996 tali frammenti sono stati rimossi dal campanile, restaurati e posti
all’interno del Museo di Treia. Al loro posto sul campanile del santuario sono
state inserite delle copie.
Ai frammenti delle quattro statue ritrovate durante i lavori di ricostruzione
della chiesa (in seguito alla sua distruzione dopo l’incendio del 1902) si
aggiunge un piede conservato al Museo di Treia che apparterrebbe a una quinta
statua.
Tutti i frammenti sono in pietra egiziana provenienti da botteghe egiziane.
La statua che stava sulla destra del campanile mostrava una figura regale con
mani a pugno lungo i fianchi. Il materiale sarebbe la diorite; sempre della
stessa pietra la statuetta posta a sinistra del campanile, una figura femminile
abbigliata come una regina o una sacerdotessa.
La testa di Serapide e’ un’ulteriore testimonianza dei culti egizi a Treia ma
da’ anche la misura dell’importanza del tempio nella zona. Secondo le fonti esaminate
vi sarebbero state due teste, una di Giove Capitolino e una di Giove Turrito.
Ma sembra che la prima sia quella che puo’ essere accostata a Serapide e per
dimensioni e per cronologia.
Sulla testa femminile con diadema si identifica quella che Benigni chiama
“Ninfa Idachia”, mentre Bejor ha tentato di associarla ad Artemide o Venere. E’
invece possibile che si tratti di Iside per via dell’acconciatura e del
diadema: ipotesi, questa, non conclusiva in quanto la testa e’ troppo generica.
Fin dalla piu’ antica documentazione sul sito del SS. Crocifisso viene
attestata la presenza di una grande quantita’ d’acqua, oltre ad un sistema
sotterraneo di canali e tubature che farebbero pensare all’esistenza
nell’antichita’ di bagni pubblici o terme sul sito. Davanti al sagrato
dell’attuale chiesa esiste una cisterna sotterranea che veniva usata per
conservare l’acqua per tutto il corso dell’anno. Potrebbe essere successivo
all’epoca romana ma certamente avvalla le osservazioni sull’acqua di Treia.
L’importanza dell’acqua nei rituali egizi e’ attestata da piu’ parti; le cripte
potevano essere usate per un “battesimo osiriaco” e per imitare le piene del
Nilo: tubi che affioravano dal soffitto potevano quindi inondare la stanza
sotterranea in determinati momenti dell’anno (in relazione a pioggie o
alluvioni, per esempio).
Un’epigrafe rinvenuta nel 1563 presso il santuario menziona il nome di Lucretia
Sabina che fece costruire a sue spese le condutture d’acqua per la Signora. Che
la “Signora” sia Iside pare molto probabile in virtu’ di quanto descritto a
proposito dell’acqua.
Vi sono poi personaggi treiesi che in qualche modo potrebbero aver avuto
contatto con l’Egitto: attraverso la lettura delle epigrafi conservate a Treia
va annotato il nome di Faustina, serva di Quinto Ramnio Marziale, prefetto
d’Egitto all’inizio del regno di Adriano. Anche se non propriamente treiese,
Marziale doveva avere dei possedimenti a Treia come altri romani di un certo
spessore (la zona era infatti rinomata per bellezza e ricchezza agricola).
Un secondo personaggio e’ Gaio Camurio Clemente la cui epigrafe e’ stata
ritrovata a Fabriano ma che e’ divenuto patrono della citta’ di Treia in
seguito ad azioni benefiche che egli deve aver compiuto per essa. Camurio
Clemente era stato epistratego dei sette nomi e del nomo arsinoita in Egitto al
tempo di Traiano.
Quando nel XVII secolo i Francescani costruirono l’abside della chiesa a Ovest
(cosi’ che il Crocifisso fosse orientato verso Treia), avvenne il ritrovamento,
sopra menzionato, di un muro preesistente di tre piedi. Il muro fu usato come
fondamenta e quindi la parte Ovest del convento potrebbe poggiare sui resti
dell’area templare costituita da diversi ambienti o corti, al centro delle
quali stava il tempio vero e proprio (che risalirebbe a prima del II sec e.v.)
Alla luce dei dati sopra riportati sembra chiaro che a Treia si praticavano
culti di origine egizia: culto di Serapide, culto domestico di Arpocrate, il
culto di Iside legato all’acqua e alla fertilita’.
La presenza di Serapide porta Vittozzi a concludere che il tempio egizio a
Treia fosse un importante luogo di culto che, grazie ai lavori degli archeologi
dell’Universita’ di Macerata, puo’ essere identificato con uno stile
architettonico ben preciso: un piccolo tempio su podio innalzato all’interno di
un cortile e circondato da un’area sacra piuttosto ampia protetta da strutture
che lo isolavano dall’ambiente esterno. Si tratterebbe quindi di architettura
greco-romana che pero’ manteneva nella sua concezione generale elementi tipicamente
egizi.
Il tempio avrebbe conosciuto il suo apice intorno al II sec e.v.
Sull’antica Trea si conosce molto poco ma tutte le fonti sono concordi
nell’attribuire al municipio un’attivita’ fiorente in campo agricolo ma anche,
successivamente, commerciale e per la qualita’ artigianale (laboratori di
gemme) e per la posizione geografica strategica (sull’asse Roma-Ancona).
Concludiamo la nostra indagine con la “Lettera sugli scavi fatti nel
circondario dell’antica Treja” di F.Benigni al cavaliere Albino Luigi Millin
nel 1812.
In questo documento Fortunato Benigni, che ricopriva, tra gli altri, il ruolo
di censore, bibliotecario e storiografo della Societa’ Georgica Treiese, tratta
specificamente dei ruderi dell’antica Treia che erano stati visitati da molti antiquari
e che, a dimostrazione della posizione geografica in cui era posta, era stata
oggetto di ripetute devastazioni durante il passaggio di Goti e Saraceni. Egli
poi elenca una lunga serie di ritrovamenti di pregio che sarebbero stati
trasportati in varie parti d’Italia, incluse gemme (piu’ di 400) trovate fra i
ruderi di Treia.
Sull’influenza di altre genti Benigni non sembra sostenere l’ipotesi degli
Etruschi come “veicolo” per la diffusione dei prodotti orientali. Infatti, egli
scrive, gli Etruschi non avrebbero mai dominato l’area Picena (a differenza di
quanto scrive Strabone), ne’ edificato alcuna citta’ tra le zone di Ascoli e
delle Cupre (Montana e Marittima). Quindi la stessa costruzione delle mura di
Treia sarebbe opera dei Piceni antichi o dei loro progenitori, i Sabini.
Sulla via antica che portava ad Ancona vennero rinvenuti molti sepolcri di
personaggi importanti legati alla vita militare e politica. Pratica, questa,
che era in uso tra i Romani che adornavano le loro strade militari con cippi,
colonne, pietre miliari e sepolcri che erano proibiti all’interno delle citta’
(come attesta tra gli altri Varrone).
Nella lettera si parla dell’esumazione di Faustina, la cui epigrafe dedicata a
Quinto Ramnio Marziale fu acquistata dallo stesso Benigni per uso personale. Su
Marziale egli dice che potrebbe essere stato il progenitore della famiglia
Ramiani di Treia, poi estintasi quando l’unica femmina si sposo’ con Simonetti
di Cingoli.
Il cadavere di Faustina venne ritrovato in buono stato di conservazione, con le
ossa in perfetto ordine e le mani allungate sopra il petto.
Sembra altresi’ che l’Imperatore Costantino fosse transitato per Treia durante
uno dei suoi viaggi dalla Capitale a Milano (nel 313, anno del suo famoso
editto e per stabilire le nozze di sua sorella Costanza con Licinio, oppure nel
326) e ordino’ l’abolizione di ogni memoria pagana.
Benigni sostiene tale teoria in base al ritrovamento di una grande quantita’ di
medaglie dedicate all’Imperatore e a suo figlio Crispo tra i ruderi di Treia. I
Treiesi, gia’ all’epoca di Costantino convertiti al Cristianesimo, avrebbero
aderito agli ordini imperiali con zelo.
Mentre sul culto del SS. Crocifisso, esso sarebbe stato abbracciato in seguito
alla santa croce scoperta nel 328 dall’Imperatrice Elena a Gerusalemme.
Il tempio di Treia venne restaurato, abbellito e dedicato al Redentore
Crocifisso che si venerava nella chiesa (chiamata “Pieve Antica Trejese”). Tale
simulacro venne trovato secondo la tradizione tra le macerie di Treia dopo
l’eccidio dei Saraceni. Benigni ne tesse le lodi artistiche e scultoree,
attribuendogli la palma del santuario piu’ antico e nobile dell’area Picena.
Dal ritrovamento di Priapi di terracotta Benigni si dice convinto che a Treia
fossero esistiti degli Iniziati al culto degli “abominevoli” misteri dei
Baccanali. Sembra che proprio il padre Giuseppe gli avesse piu’ volte
assicurato che, da ragazzo, nei pressi della residenza dei Giuliani, si sarebbe
rinvenuto un tempio dedicato a Bacco con all’interno altri Priapi.
Acquaticci riferisce del ritrovamento di una statuetta di Bacco nell’orto dei
Frati Riformati e, nello stesso luogo, di ossa di un bambino che poteva avere
dodici anni “...pieno nella testa e nel busto di molti Chiodi con due lucerne
di terra cotta estinte con un Pene figurato sopra...” [Cfr. Acquaticci,
Schede].
Un altro scheletro, ma privo di chiodi, fu trovato in un podere di Casa
Grimaldi nella Contrada di Seggiano: si trovava murato nella pietra in
posizione verticale e, sulla pietra, vi era scolpito il simbolo della catena
con piu’ anelli.
In un terreno poco distante da Treia, nella Contrada di Petaccia o Sterpeto,
venne rinvenuto al tempo di Benigni un sepolcro contente gli scheletri di due
cadaveri con molti chiodi conficcati e, intorno, piccole boccette di vetro
ripiene di materia ignota.
Sulla pratica di infilzare di chiodi i cadaveri dobbiamo rimandare ad uno
studio specifico poiche’ noi crediamo non sia propria delle tradizioni romane o
greche ma forse frutto di antiche reminiscenze delle piu’ antiche popolazioni
Italiche. Simbolicamente il voler puntellare un corpo di chiodi potrebbe avere
a che fare con il tentativo di trattenerne lo spirito impedendone il trapasso
nel mondo dei morti, forse a scopo punitivo o rituale. Ma su quale rito tale
pratica si fondi non siamo in grado di stabilirlo, confidando nella maggiore
conoscenza in ambito funerario e cerimoniale di studiosi del settore.
Quello che e’ certo e’ che Treia ha un passato pagano importante che rimanda a
culti egizi e forse greci che, senza la violenza e la barbarie di ripetute
devastazioni, avrebbe forse conservato memorie molto piu’ complete.
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24/05/2016 23:08:55 |
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