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LA FINE DEL CRISTIANESIMO - Gesù e gli Apostoli non sono mai esistiti. LE PROVE |
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Alessio e Alessandro De Angelis |
Fonte: Uno Editori |
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Il titolo roboante e d’effetto potrà certamente aiutare le vendite e alimentare polemiche, che è un po’ come una “promozione” gratuita per ogni pubblicazione. In effetti già il testo della copertina è molto audace, mostrando un titolo (La Fine del Cristianesimo) che è un’ovvia provocazione; un sottotitolo (Gesù’ e gli Apostoli non sono mai esistiti - LE PROVE) che dovrebbe rivoluzionare (dimostrandolo) l’intera storia della religione Cristiana; e un piccolo riferimento alla precedente pubblicazione degli autori (Oltre la Mente di Dio Vol.1) di cui il presente lavoro rappresenta la continuazione. Non avendo avuto il piacere di leggere e recensire il Vol.1, probabilmente alcune mie argomentazioni potrebbero risultare fuori contesto se viste nell’ottica de “Oltre la Mente di Dio Vol.1 e Vol.2”. In ogni caso e’ “La Fine del Cristianesimo” che mi accingo a commentare: si tratta del tentativo del giovanissimo Sig. Alessio De Angelis il quale, prendendo dai cenni biografici in coda al volume, e’ un “Esperto di Cristologia ed Esegesi Biblica” – avendo egli 18 anni non posso che definirlo un “fenomeno” seguendo l’etimologia greca, perché “miracolo”, dato il contesto del libro, non sarebbe appropriato – del tentativo, dicevo, di smantellare concetto per concetto l’idea di un Cristo Salvatore e Salvifico che, venuto sulla Terra per portare la parola di Dio, sacrifica la sua vita come modello ultimo di Amore Universale. Come smantellare un principio di fede, morale, spirituale, etica, sociale, e religiosa? Attraverso la pura filologia storica, dimostrando cioè l’incongruenza delle date e delle persone riportate sui Vangeli, rispetto alle date e ai personaggi descritti dagli storici classici dell’epoca; in particolare Giuseppe Flavio, Plinio il Vecchio, Tacito, Cassio Dione. Premetto che personalmente non sono un filologo, ne’ ho troppa simpatia per una materia che considero, nella più positivistica delle affermazioni, una perdita di tempo. Tentare di ricostruire su basi logiche e cronologiche la storia dell’Uomo poteva funzionare forse al tempo di Tolomeo, anche se il pensiero Greco e, prima ancora, Babilonese ed Egizio, ammetteva senza mezzi termini l’esistenza di più piani di realtà, tra loro interconnessi e dinamici. I numeri e, nel nostro caso, le date, non possono essere assolutamente prese come termini fissi e immobili della storia, in quanto le vicende passate non sono fermi immagine (ma c’e’ evidentemente ancora chi lo crede), ma un flusso dinamico che “respira” e “ritorna”. Questo lo dice la moderna Fisica della Teoria Unificata, tanto Quantistica quanto Relativistica; lo dice la filosofia (che,a differenza della filologia, è la più dinamica espressione del pensiero che frantuma ogni logica statica e statistica). Senza contare tutti i numerosi e diversificati codici ideati per riuscire in qualche modo a “imbrigliare” questo respiro dinamico della storia: l’invenzione dei calendari e dei numeri ad esso associati. Ogni cultura possiede un proprio computo del tempo, e il fatto che il Calendario Gregoriano sia quello usato in Occidente, non vuol dire che debba essere considerato una cartina di tornasole assoluta per tutta la datazione storica del mondo. Tornando al libro oggetto di questa recensione, e ammettendo per un attimo la validità delle argomentazioni fornite, già nel secondo Capitolo mi sono chiesto: “ma a cosa serve tentare di dimostrare che Cristo non è mai esistito, che gli Apostoli non sono mai esistiti, che i Vangeli sono stati manipolati, e che i Cristiani sono stati presi in giro per 2,000 anni?” La risposta che mi sono dato inizialmente, e che poi avrei trovato nelle ultime pagine del libro, è che “dobbiamo aprire gli occhi sulle menzogne della Chiesa ed essere consapevoli che la religione è una costruzione dell’uomo”. Mi sono fermato a riflettere su questa risposta pensando se, effettivamente, sapere che la datazione fornita dai Vangeli è in netta contraddizione con i resoconti “storici” di Giuseppe Flavio; e se, sapere che nomi di persone presenti nei Vangeli non sono menzionati negli scritti di Giuseppe Flavio, servirebbe a ridisegnare la religione Cristiana. Risposta: no. No. Che la religione, come la storia e la filologia, siano fatte dall’uomo sono convinto che si sappia senza bisogno di confutazioni filologiche. La ragione per la quale la filologia non cambia la storia, né la “illumina”, è perché la storia, come la religione, presenta le stesse contraddizioni dell’uomo, in quanto fatta dall’uomo. Semmai, quello che mi chiedo e che davvero potrebbe cambiare la nostra conoscenza delle religioni è: come è possibile che menzionare un solo uomo, Cristo (ma vale la stessa domanda anche per gli altri grandi profeti), e soprattutto tramandare i principi di cui egli è il simbolo, ha prodotto una fede così imponente da essere seguita per più di 2000 anni in ogni angolo del pianeta, indipendentemente dalla costruzione religiosa che è stata strumentale alla sua espansione? Vi sono esempi di principi Cristiani anche dove le Chiese sono state distrutte, principi mescolati alle credenze tradizionali dei popoli Centro Americani, Austro-Asiatici, Africani. Si tratta di principi che portano in sé l’Universalità’ della Genesi dell’Uomo, principi che esistono dentro ciascuno di noi fin dalla nostra creazione. L’Eden, il Diluvio, Cristo, gli Apostoli e i Vangeli sono divenuti materiali con un libro, ma se l’essenza del loro simbolo non fosse stata già radicata dentro di noi, non avrebbe mai attecchito in modo così vasto e complesso. Le religioni sono costruzioni dell’Uomo volute e impiegate per mantenere il controllo sulle masse, allo stesso modo di ogni altro sistema sociale Umano: politico ed economico. La vera libertà sta nell’espansione soggettiva che ognuno di noi può raggiungere con l’idea di uscire da tali categorizzazioni comuni, l’idea che è slancio assoluto verso la Verità o verso Dio, a seconda delle proprie basi culturali. Ecco perché confutare Cristo o i Vangeli, a mio modesto parere, è ancora tentare di piegare il “dito” di Aristotele, senza provare a guardare dove esso punta.
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Ciò detto, ho tentato di seguire il filo (logico) dell’autore, ma su
alcuni punti sono rimasto perplesso, in quanto logica e obiettività
sembrano lasciare il posto a faziosità e dogmatismo. Alle pagg.
36-37, ad esempio (Capitolo 2), l’autore ci descrive la situazione
politica e sociale della Palestina, come teatro di guerriglia urbana tra
vari clan giudaici. E, siccome questa realtà “brutale” stona con la
descrizione dei Vangeli di un gruppo di Apostoli che predica
pacificamente tra la folla, sono quest’ultimi ad essere stati inventati
di sana pianta. Io credo che innanzitutto i Vangeli non debbano
essere presi come resoconti storiografici, ma piuttosto come strumenti
religiosi e propagandistici. Allo stesso tempo, le fonti storiografiche
prese in esame dovrebbero quantomeno sollevare qualche dubbio sulla loro
obiettività. Mi riferisco a Giuseppe Flavio, la cui biografia vale la
pena di riassumere per poter meglio chiarire il mio pensiero. Giuseppe
Flavio era figlio di un nobile della casta sacerdotale degli Asmonei
(stessa nobile stirpe cui, secondo l’autore, Giovanni/Gesù’ discende).
Egli ricevette una tradizionale educazione ebraica e fu molto vicino ai
Farisei, e in aperta opposizione agli Zeloti (cui l’autore, nel libro,
assume essere il movimento creato da Giuda il Galileo - anch’egli
Asmoneo - e del quale i Boanerghes di Giovanni/Gesù’ e i suoi fratelli
erano l’elite più violenta). Durante la Prima Guerra Giudaica
Giuseppe Flavio comandava le truppe ribelli contro i Romani; egli creò
uno stratagemma, prima convincendo i suoi soldati dell’immortalità’ del
suicidio, poi che ciascuno dovesse uccidere, a turno, il proprio
compagno. Ovviamente egli si mise in fondo alla “catena suicida” in modo
da rimanere l’ultimo. A quel punto, si consegnò ai Romani. In
seguito a una sua predizione fatta a Tito Flavio Vespasiano riguardo
alla sua incoronazione a Imperatore, e quando questa si avvero,
l’Imperatore gli accordò i suoi favori e Giuseppe Flavio si spostò a
Roma. Dalla capitale dell’Impero, Giuseppe Flavio venne usato dai
Romani a fini propagandistici, per convincere i ribelli ad arrendersi.
Trascorse il resto della sua vita a Roma, scrivendo opere che avevano un
carattere filo-romano.
Non serve una grande mente filologica per
capire come l’affidabilità’ di Giuseppe Flavio nel riportare
“fedelmente” le vicende giudaiche sia quantomeno dubbia (non concordo
con l’opinione dell’autore, che a pag. 122 lo descrive come “storico
preciso e minuzioso”). Occorre a mio avviso equilibrio e obiettività
quando si tenta di dimostrare una tesi su fatti avvenuti in un così
lontano passato. Che i Vangeli siano stati “manipolati”, o scritti a
bella posta per intenti religiosi e di conservazione/promozione di
principi religiosi, mi sembra molto probabile; ma che dall’altra parte
(storica), si debba prendere per oro colato le affermazioni di autori
quali Giuseppe Flavio – specialmente alla luce della sua Autobiografia –
mi sembra una mancanza di rigore logico. Vorrei tralasciare di
commentare ogni singolo punto dove l’esegesi dei Vangeli e la
conseguente analisi comparativa con le fonti storiche, in quanto, avendo
dubbi sulla logica storica di entrambe le fonti, non e’ funzionale al
messaggio che intendo dare. A pag. 109 trovo molto interessante
l’interpretazione dello “sdoppiamento” Gesù’/Giovanni nel tentativo di
creare un Salvatore che potesse liberare Gerusalemme e la Palestina dal
giogo Romano. Simbolicamente, questo concetto e’ stato sempre presente
nelle culture sottomesse: l’esigenza di attendere un eroe che potesse
liberare dall’oppressore. Mi pare molto verosimile che la “nascita” di
Gesù’ sia stata favorita da questo forte desiderio, e dal fatto che
probabilmente esisteva un personaggio che, per carisma ed esperienze
“mistiche”, poteva incarnare la figura del Salvatore. Nel Capitolo 5,
a pag. 117, l’autore deride apertamente la visione della Chiesa su
miracoli e prodigi, “…invenzioni della fede che non possono essere presi
in considerazione nella ricerca storica…”; accentuando la posizione
scettica (e asettica) con un “…noi esseri intelligenti preferiamo non
credere a queste assurde invenzioni e, purtroppo, abituati come siamo a
pensare secondo ragione, sosteniamo invece la versione storica,
rigettando del tutto quella fiabesca della Chiesa…” In prima istanza
non riesco a vedere alcuna “intelligenza” nel porsi in modo così
arrogante nei confronti di un testo che si sta criticando, ma dimostra
soltanto la volontà di affermare una “fede” (in questo caso la fede
storica) attaccandone un’altra, rimanendo intrappolati nel viscoso
territorio dell’ego. Una tale posizione non rende onore a studiosi ed
esegeti che affrontano con coscienza il delicato lavoro di analisi e
critica; al di là di ciò, e visto il nome del Prof. Biglino come autore
della Prefazione, mi sarei aspettato almeno un minimo di “rispetto” nel
commentare le visioni di Angeli e di fatti “soprannaturali” che possono
si essere “invenzioni della fede”, ma potrebbero anche avere una diversa
interpretazione “non convenzionale”. Per non parlare
dell’affermazione che leggo a pag. 152 dove l’autore annota con orgoglio
che “…seguendo il nostro stesso percorso di studi, molti altri
ricercatori, professori universitari e studiosi indipendenti sono
giunti…alle nostre stesse conclusioni…” parlando dell’inesistenza della
città di Nazareth e dell’identificazione della cita’ di Gamala come
luogo di nascita di Gesù’/Giovanni. Segue un elenco degli storici,
studiosi, ecc… che hanno seguito le orme dell’autore, di fatto
supportando le sue tesi. Forse non e’ di se stesso che l’autore parla,
ma di altri che hanno “contribuito” al lavoro pubblicato, perché mi
risulta difficile svelare l’arcano di come professori universitari e
studiosi possano avere seguito e non preceduto gli studi dell’autore (se
non altro, per logica anagrafica). Più volte nel libro si accusano
gli amanuensi e Chiesa di aver tolto o aggiunto o modificato parti delle
scritture che contrastano con l’idea “filologica” degli autori, ma non
si prende nemmeno in minima considerazione la possibilità che questo
possa essere avvenuto anche da parte Romana; una logica e obiettiva
ricerca dovrebbe almeno prendere in considerazione questa eventualità.
Certo, se si crede che (pag. 269) “La storia e’ la narrazione
sistematica di fatti o vicende realmente accaduti, che necessariamente
non possono essere in contrasto con la situazione generale in cui si
sono sviluppati. Se perciò nella narrazione di un evento si riscontrano
anomalie e anacronismi, il fatto narrato non può essere ritenuto
storico, ma diventa automaticamente fittizio e fallace”, e non si tiene
conto dell’obiettivita’ o meno di chi riporta quei fatti, chi e’ fallace
e’ ogni conseguente analisi. Subito dopo, nella stessa pagina,
appare un vero e proprio “manifesto di umiltà”che, onestamente,
contrasta con l’impianto dell’intero libro fin qui: un impianto deciso,
determinato, aggressivo fino all’arroganza, ma almeno coerente. Con
quest’affermazione che “vuole far felici lettori e critici”, invece,
anche la coerenza se ne va. La parte che mi e’ piaciuta di più del
libro e’ sicuramente la ricostruzione della vita di Gesù’/Giovanni
scritta dal co-autore del libro, Alessandro De Angelis. Lo scenario
presentato in forma narrativa, che ritengo verosimile, e’ piacevole da
leggere perché ricostruisce uno dei possibili scenari della vita di
Gesù’: moventi, azioni, strategie di un uomo che, una volta tornato dal
suo “misterioso” viaggio (e nella narrazione si accenna, a differenza
del resto del libro, a possibili contatti alieni), possedeva conoscenza e
carisma per guidare un popolo esasperato dalla dominazione Romana. La fiction narrativa sembra quasi più credibile (certamente più piacevole) di 270 pagine di filologia storica.
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07/03/2016 15:07:11 |
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